Psichiatra e Psicoterapeuta

La scoperta degli antidepressivi: una storia di serendipity

antidepressivi

 Il termine ‘serendipity’ (brutta la traduzione italiana di serendipità) esprime quella forma di conoscenza che avviene un po’ per caso, in maniera accidentale, come cercava di definirla uno scrittore inglese dotato di senso dello humor: ” è come quando si cerca un ago in un pagliaio e si trova la figlia del contadino…”. E’ attraverso questa forma di conoscenza per serendipity che sono avvenute molte scoperte scientifiche, tra cui quelle dei primi farmaci in grado di modificare una delle patologie più impegnative e angoscianti dell’esperienza umana: la depressione.

Nei primi anni ’50 viene scoperta l’azione antitubercolare dell’isoniazide, un farmaco ricavato da residui di combustibili bellici acquistati come stock a basso costo alla fine della II Guerra Mondiale da alcune aziende farmaceutiche (Hoffman-La Roche e Squibb del New Jersey) per testarne le proprietà antibatteriche. Nel ’52, un anno dopo l’ introduzione sul mercato dell’isoniazide, la mortalità per tubercolosi in USA si ridusse drasticamente a 4 decessi per 100.000 abitanti. Nel 1953 un fotografo dell’ Associated Press pubblicò una foto del Sea View Hospital di New York (un sanatorio per pazienti tubercolotici dell’epoca, dove si usava da alcuni mesi l’iproniazide, un farmaco derivato dell’isoniazide), dove numerose pazienti erano riprese sorridenti, come durante un party, mentre danzavano scherzose; la didascalia della foto diceva: “Solo pochi mesi fa il solo suono che poteva essere avvertito qui era quello delle vittime della tubercolosi, che tossendo rinunciavano alle proprie vite”. Qualcuno a quel punto notò che questi effetti ‘euforizzanti’ della terapia sembravano un po’ eccessivi per essere ascritti soltanto al miglioramento clinico, e qualche psichiatra di buon intuito inziò ad utilizzare il farmaco nei pazienti depressi (sembra che in quell’occasione fu coniato per la prima volta il termine “antidepressivo”).

Nathan Kline
Nathan Kline

Si arriva così al luglio 1957, durante il congresso dell’American Psychiatric Association a Siracusa, quando lo psichiatra americano Nathan Kline  presenta i suoi primi dati su pazienti depressi trattati con successo dal farmaco antitubercolare (che commercialmente si chiamava Marsilid).

 Nell’anno successivo, nonostante il farmaco fosse registrato solo come farmaco antitubercolare, 400.000 pazienti depressi iniziarono ad essere trattati con l’iproniazide con buoni risultati, e, così, si aprì la strada, per la prima volta nella storia, ad una classe di farmaci in grado di curare la patologia depressiva. E sempre nel ’57, nel settembre, durante il II Congresso Mondiale di Psichiatria a Zurigo, Roland Kuhn presentò i suoi dati sulla efficacia antidepressiva di un’altra molecola, denominata G-22355, davanti ad una svogliata platea di una decina di persone A quel tempo la dottrina prevalente sull’eziologia della depressione voleva che fosse il risultato di processi psicodinamici e di conflitti intrapsichici, e che quindi l’intervento farmacologico potesse mascherare i reali sintomi della condizione depressiva. Kuhn, allora giovane assistente presso l’ospedale psichiatrico cantonale di Munsterlingen, nei pressi di Basilea, aveva ricevuto dalla Geigy una nuova molecola, la G-223555 appunto, che doveva avere addirittura proprietà antipsicotica e quindi essere testata per la cura della schizofrenia.

Roland Kuhn e l'ospedale psichiatrico cantonale di Munsterlingen
Roland Kuhn e l’ospedale psichiatrico cantonale di Munsterlingen

 La sperimentazione sui suoi pazienti schizofrenici fu fallimentare, nel senso che la maggior parte dei pazienti peggiorarono, ma Kuhn notò che alcuni pazienti, i cui sintomi psicotici erano probabilmente causati da una forte depressione, dopo alcune settimane iniziarono a migliorare. Quindi inizio a provare il farmaco, che sarebbe poi stato denominato imipramina (Tofranil, peraltro ancora in commercio), su una popolazione di pazienti depressi, dimostrandone la specificità dell’azione antidepressiva. Nell’anno successivo più di 60 pubblicazioni scientifiche attestavano l’efficacia dell’imipramina nel trattamento della depressione. Ma anche in questo caso l’effetto antidepressivo dell’imipramina era inaspettato e la scoperta della sua efficacia avvenne in modo del tutto accidentale.

 Bibliografia

 

1) López-Muñoz F, Alamo C, Cuenca E.  El origen de los fármacos antidepresivos (I): De las drogas antituberculosas a los IMAOs. Nathan Kline y la terapéutica hidrazídica. JANO (Psiquiatría y Humanidades) 1999; I(3): 16-7.

2) López-Muñoz F, Assion HJ, Alamo C, García-García P, Fangmann P.  Contribución de la iproniazida y la imipramina al desarrollo de la psiquiatría biológica: primeras hipótesis etiopatogénicas de los trastornos afectivos. Psiquiatr Biol 2007; 14: 217-29.

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