Psichiatra e Psicoterapeuta

La paranoia: riflessioni su una diagnosi dimenticata (parte 1)

paranoiaLa paranoia si può considerare concettualmente come un tentativo di spostare il fulcro del paradigma psichiatrico di fine ‘800 dalla concezione della malattia mentale (e parliamo naturalmente delle psicosi) come ‘processo’, destinato inesorabilmente alla defettualità del deterioramento cognitivo e comportamentale, a quella della malattia mentale come ‘svilluppo’, quindi (reazione) comprensibile in base alle caratteristiche della personalità dell’individuo.

Nel 1845 Griesinger scriveva “..la stragrande maggioranza dei casi di follia prende origine da anomalie del sentimento di sè e dell’umore, e dagli stati emozionali che ne risultano..”.

Rispetto al concetto di malattia mentale nella seconda metà dell’ ’800 vi era stato uno spostamento dalla prospettiva unicista tardo-romantica, che vedeva la ragione trascinata a delirare dalle passioni (come in Pinel) o dall’umore (come in Griesinger). Nella seconda metà dell’ ‘800 invece si affermò una concezione intellettualistica del delirio, che lo vedeva come “incorreggibile errore morboso del giudizio” (Falret, 1864) e che avrebbe culminato con la nozione della demenzia praecox di Kraepelin (1899) (cioè la malattia mentale come una demenza ad insorgenza in età giovanile). Tale concezione intellettualistica del delirio sarà il più importante lascito della psichiatria ottocentesca al ‘900. Con Kraepelin in particolare il delirio prenderà inevitabilmente la forma della incomprensibilità e della defettualità progressiva della demenza.

Da questa prospettiva la ‘paranoia’, con la sua caratteristica di rappresentare un delirio senza demenza, quindi con caratteristiche di ‘benignità’ prognostica anche se cronico, rappresentava un crocevia importante e fecondo nei tentativi di fondare l’’epistème’ della psicopatologia di inizio secolo.

Emil Kraepelin
Emil Kraepelin (15-2-1856  /  7-10-1926)

 Nella sesta edizione del suo Trattato di Psichiatria (1899), Kraepelin ritaglia la diagnosi di paranoia dalle forme deliranti croniche, cercando di delimitarne in maniera drastica i confini e distinguendola dalle forme paranoidi (caratterizzate, nello stesso trattato, da forme deliranti acute e transitorie). Nella sua paranoia erano centrali le idee deliranti, che si presentavano comunque in maniera abbastanza organizzata, costruendo un sistema delirante durevole, pur mantenendo una buona lucidità nel pensiero, nella volontà e nei comportamenti. La caratteristica di questa patologia era quindi quella di un delirio che si accompagnava al mantenimento dell’intelligenza e della lucidità di pensiero, con pressochè assenza di sintomi allucinatori, e che generalmente non evolveva verso la demenza. Ciò che lui sottolinea è l’estensione progressiva del delirio, secondo uno schema che de Clerambault chiamerà di lì a poco a reticolo (en reseau). Questo significava che il delirare del paranoico avrebbe invaso progressivamente , in maniera lenta ma costante, la vita del paziente, andando a confondersi con la sua biografia. Anche in questo caso troviamo una concezione kraepeliniana della malattia mentale che si basava soprattutto su un criterio nosodromico, vale a dire l’evoluzione della patologia nel tempo. Lo sforzo epistemico di Kraepelin era notevole in quanto, pur attribuendo al delirio una genesi primariamente intellettiva, definiva un sistema delirante cronico caratterizzato dalla conservazione dell’intelligenza e dall’assenza di deterioramento intellettuale! Tra i suoi contemporanei molti autori avevano sottolineato il ruolo degli stati affettivi nello sviluppo della paranoia, e addirittura autori come Specht e Tilling  la consideravano la terza psicosi affettiva accanto alla mania e alla malinconia. Altri autori, come Bleuler, cercavano di conciliare le due prospettive riconoscendo alla malattia un’origine allo stesso tempo intellettiva e affettiva (teoria dei ‘complessi ideo-affettivi’).

Negli stessi anni in Francia Serieux e Capgras descrivevano il ‘delirio di interpretazione’ come una psicosi sistematizzata cronica caratterizzata da: 1) organizzazione di una molteplicità di interpretazioni deliranti 2) assenza o penuria di allucinazioni 3) persistenza della lucidità e dell’attività psichica 4) evoluzione per estensione progressiva delle interpretazioni 5) scarsa curabilità ma senza evoluzione in demenza.

Paul Serieux
Paul Serieux  (2-7-1864  / 23-1-1947)

 “I soggetti che ne sono affetti conservano, al di fuori del loro “delirio parziale”, tutta la loro vivacità intellettiva, con un’attitudine a discutere e difendere le loro convinzioni. Questi interpretatori non meritano l’epiteto di alienati nel senso etimologico del termine: essi restano in relazione con l’ambiente e il loro aspetto si mantiene normale; alcuni riescono a vivere in società fino alla fine senza attirare l’attenzione se non per qualche stranezza. Se si parla con loro o se si legge la loro corrispondenza o i loro diari, non solo non si rileva alcuna forma di irrazionalità, ma si constata anche che hanno un modo di esprimersi molto corretto, delle associazioni di idee normali, dei ricordi molto precisi, una curiosità molto viva, un’intelligenza integra, a volte acuta e penetrante. Non si evidenziano né allucinazioni attive, né eccitazione, né depressione, né confusione, né perdita di sentimenti affettivi… Si potrebbe vedere in essi dei ragionatori dalla mente falsa, con il partito preso di guardare gli avvenimenti sotto una prospettiva particolare, di sistematizzare tutto partendo da un preconcetto errato, da un’idea fissa che orienta le loro false interpretazioni. Le loro idee deliranti restano verosimili e non sembrano raffigurare un danneggiamento delle facoltà sillogistiche.” (Serieaux e Capgras, 1909). Questi pazienti, attraverso la cristallizzazione di idee successive intorno ad un nucleo tematico o idea prevalente, costruiscono un sistema delirante “per accumulo e per estensione”, dove il progetto dell’edificio non cambia, ma le sue proporzioni aumentano progressivamente. Anche se la patologia non evolve verso l’indebolimento intellettivo o la disorganizzazione dei comportamenti e della volontà, gli interpretatori tendono a mantenere la loro costruzione delirante viva nel tempo, pur rimanendo in relazione con il proprio ambiente. Anche se apparentemente possono mostrare dei più o meno lunghi periodi di buona normalità: “il paranoico non guarisce, disarma” scriveva Tanzi in quegli anni.

Joseph Capgras
Joseph Capgras (23-8-1873 /  27-1-1950)

 I due autori sottolineano l’importanza di non basarsi sull’aspetto contenutistico del delirio (i temi di persecuzione, di grandezza, di gelosia, mistici, erotomanici, ipocondriaci, erano considerati i più frequenti) ma di cercare di individuarne il ‘meccanismo generatore’, il fondamento patogenetico alla base di questi deliri d’interpretazione. In particolare si soffermano sulla interpretazione delirante, definita come “un ragionamento falso che deriva da un percetto reale, un fatto esatto, il quale, grazie alle associazioni di idee legate al carattere e all’affettività, assume per il malato, attraverso intuizioni e deduzioni erronee, un significato personale che lo spinge a rapportare tutto ad esso…”. I temi deliranti di questi pazienti hanno la caratteristica della verosimiglianza, si mantengono nell’ambito della plausibilità (generalmente non sono presenti forze sovrannaturali o stravolgimenti delle coordinate mondane, per capirci). Questi ‘interpretatori’ non inventano di sana pianta delle situazioni senza fondamento alcuno, ma partendo dalla normale percezione di un fatto reale ne amplificano e stravolgono il significato. “Uno sguardo, un sorriso, un gesto, le grida e le canzoni dei bambini, la tosse o gli sputi di un vicino, il chiacchierio dei passanti, i pezzi di carta trovati sulla strada, una porta aperta o chiusa, basta un niente per dare un pretesto all’interpretazione… Laddove altri non vedono che delle coincidenze, essi, grazie alla loro chiaroveggenza interpretativa, sanno svelare la verità e i rapporti segreti delle cose” (Serieux e Capgras). Nonostante la loro produzione delirante questi malati mantengono una buona intelligenza, a volte vivace, e nella conversazione appaiono lucidi e razionali. Infatti al di fuori delle idee deliranti i loro giudizi “restano sensati, e le loro valutazioni sono spesso giuste”. Spesso mantengono adeguate anche le loro capacità professionali. L’intuizione degli autori francesi è quella di trovare una continuità tra il delirare e delle caratteristiche di personalità già presenti nella storia del paziente: “…non ci sono né modificazioni radicali, né dissoluzione del carattere: c’è invece uno sviluppo ipertrofico e unilaterale di certe tendenze preesistenti. Nessuna rottura tra la personalità anteriore del soggetto e la personalità dell’interpretatore”. Tale carattere degli interpretatori era caratterizzato dall’egocentrismo, l’ipertrofia dell’io, l’elevata auto-stima, la diffidenza, la suscettibilità, la tendenza alla gelosia: “a sentirli nessuno li può eguagliare; credono di essere insostituibili in ogni occasione e, se non sono apprezzati è solo per gelosia o per malvagità. Molto prima della manifestazione del delirio è presente la tendenza a snaturare i fatti per conformarli all’alta opinione che essi hanno di se stessi” (Serieux e Capgras). Il malato è ossessionato dalle sue idee (che siano di grandezza o di persecuzione, di gelosia o erotomaniche), ma contrariamente alle ossessioni propriamente dette, queste idee sono profondamente radicate nel suo Io, con una significativa componente affettiva sintonica: “egli lotta per esse e non contro di esse”.

Nella concezione kraepeliniana la ‘paranoia’ era stata considerata come un’alterazione deficitaria della ragione (concezione intellettualistica) anche se non così grave da evolvere verso il deterioramento e la demenza, caratterizzata invece da una forte coerenza narrativa, e nella quale non si assisteva al dissolvimento di una temporalità narrativa. Nella prospettiva del ‘delirio di interpretazione’ di Serieux e Capgras l’attenzione viene invece spostata sul “meccanismo generatore”, e questo permette di introdurre il concetto di follia non più come demenza ma come squilibrio delle funzioni psichiche. La concezione dell’importanza e della centralità patogenetica del ‘meccanismo generatore’ di li a poco verrà anche ripresa da Eugen Bleuler, che nella sua riformulazione della demenzia praecox nella schizofrenia, sottolineerà l’importanza dei sintomi primari come spaltung (dissociazione) e alterazione delle associazioni tra complessi ideo-affettivi. Anche Bleuler quindi introducendo il concetto di schizofrenia cercava di superare il paradigma demenzialista di Kraepelin (al quale peraltro dedicava il suo libro “Dementia praecox oder Gruppe der Schizophrenien”, 1911).

Un’altra interessante distinzione tra il ‘delirio di interpretazione’ dei francesi e la paranoia di Kraepelin riguarda la concezione della temporalità. In quest’ultimo la temporalità del delirio rimaneva nell’ambito della temporalità della vita, i pazienti portavano avanti le proprie storie senza che ci fosse un impoverimento intellettuale e comportamentale, esisteva pertanto la possibilità di evoluzione di una biografia, anche quando questa veniva invasa dall’irruzione dei temi deliranti. Per i francesi la temporalità del delirante diventa una temporalità “figèe”, non più evolutiva, cristalizzata in una ripetizione infinita dello stesso meccanismo delirante. Per loro “il delirio si espande ma non evolve”. Il delirante attraverso la  reiterazione dello stesso meccanismo morboso, tende a ripetere lo stesso tema (persecuzione, gelosia, erotomania…) all’infinito, determinando il congelamento di una biografia. Questo ‘meccanismo generatore’ del delirio si poteva raffigurare come uno stampo industriale che traduce ogni volta nella stessa forma la “tranche” di vita dei malati, come un incessante ripetersi dello stesso tema. Il tempo del delirio é come il ‘presente eterno’ dell’inferno dantesco, il tempo dove tutto é già accaduto, il tempo siderato della ripetizione senza fine (Del Pistoia, 2010). “Il delirio progredisce per accumulo, per irraggiamento, per estensione. Il progetto dell’edificio non cambia, ma le sue proporzioni aumentano: ogni nuova proporzione porta una pietra che lo consolida e lo ingrandisce” (Serieux e Capgras).

La paranoia rappresentava quindi un ottimo argomento di discussione non solo per definire l’origine primariamente affettiva o intellettuale delle esperienze deliranti, ma anche per riflettere sull’antinomia del delirio come sviluppo di personalità, “destino fatale di una costituzione”, e quindi con una sua comprensibilità, oppure delirio come processo morboso, momento di rottura di una biografia, stravolgimento di significati irreversibile di una storia di vita. (continua…)

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